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Non Mi Piace Questa Musica: breve cronaca di un festival di provincia

Nella campagna grassa e concimata di Tondelli, a qualche chilometro dal festival degli esuli berlinesi in Italia (il LOST, per intenderci), un wrestler con la passione per la musica veramente bella e un’associazione benefica, Franek e Mani tese, una ONG che dal 1964 opera nel sociale, hanno messo su il primo festival rock olistico in Italia, leggo sul gruppo Telegram: Non Mi Piace Questa Musica.
Mi imbatto nella locandina generata da ChatGPT sul gruppo Godopoli Intrattenimento (segnalazioni sincere e ironiche di eventi che meritano davvero, forse, un po’ di FOMO). Non so cosa aspettarmi da questo pomeriggio di luglio.

Arriviamo a Finale Emilia dopo un paio d’ore di macchina, sorpassiamo velocemente Camposanto e ci infiliamo tra le colture intensive, fino a raggiungere una macchia incolta, ribelle: siamo finalmente arrivati.
Il vento umido ci accoglie, it feels like New Jersey, commenta Oliver, un fotografo che da New York è finito qui, nel nulla. Gli asini ragliano in lontananza, dove ci accamperemo per la notte, Muito Brigante si piazza sul primo palco, davanti a una specie di container, il microfono si stacca, qualcuno mi chiede se non sia un sound check, trovo la domanda interessante: non lo so neanche io. Il festival inizia così, con un manifesto, sappiamo quello che non ci piace, Non mi piace questa musica! Lavatevi la coscienza! Inizia Franek, su una scala macchiata di vernice, questa è musica da cameretta, con quel piglio incazzato, il punk gentile, che ci accoglie come eterni adolescenti in questo tempo rallentato.
Sound check o no, siamo pronti a iniziare. Generazioni diverse si mescolano, è talmente epocale avere un evento vicino casa quando si è in provincia che la gente si lancia, senza pensare, neanche per un attimo, di essere inadeguata, fuori luogo, tanto è invitante l’idea di partecipare a un evento. Una bambina con le ali di tessuto si piazza sotto i synth di Paolo Schiamazzi, sembrano due creature fatate, un folletto e una fata. Santo cielo, ora mi spengo! Canta e sembrano capirlo tutti, i giovani vecchi e gli anziani adolescenti.

A stordire la fine di un pomeriggio pigro e rilassato come questo, 1000 volte gatto. Scarpe da tip tap, smoking e noise. Chi cazzo se l’aspettava. Senza vergogna, alcuni esuli del paese si tappano le orecchie, rimangono però immobili a fissarlo. Una naturalezza, anzi forse autenticità, che mi sconvolge, che raramente ho visto.
Fabbri riavvicina tutti al palco, cerca, cerchiamo contatto. Vogliamo volerci bene oggi, stare appiccicati e muoverci insieme, forse è davvero il festival dell’amore.

Me lo conferma Franek quando gli chiedo perché scegliere questi artisti, questo luogo. “è una cosa di famiglia,” mi dice. Dopo dieci anni di pausa dal festival (ma non dagli eventi in genere), Non Mi Piace ha scelto di tornare da lì: dalla casa, dagli affetti, dalle persone con cui condividere non solo un palco ma una visione. Prima della ricerca, della spinta verso il nuovo, c’era il bisogno di ritrovarsi. E farlo insieme.
Il sole è calato finalmente, ci riposiamo dal caldo, dai live e spezziamo con un po’ di biliardino. Mio padre batte un ragazzo con i codini e uno sguardo morbido, di cane: è Nic T.

Seduti sulla terra spaccata dall’arsura, ci lasciamo sciogliere dalla sua chitarra agile, dalla sua voce cavernosa e soave, ci culla melodioso e poi, vibrante e vivo, rompe la quiete con forza, con suoni sempre più vibranti, raschiati quasi. Con la coda dell’occhio, alla mia destra, vedo i Vulva de Leyva sotto un tendone da circo, da balera, non so, illuminati da queste lucine tonde che galleggiano a mezz’aria. Si preparano per il loro penultimo live (forse, spero di no). Non ho mai ascoltato live il liscio, non ho mai visto qualcuno pogarci sopra o fare stage diving sulle note di un mash up di Everybody Wants To Rule The World.
È tutto così naturale, fluido, qualsiasi sia il nostro luogo di provenienza, l’età, c’è qualcosa in questa piccola nuova comunità, in questa musica ancora preziosa come un diamante grezzo, che ci unisce, ci fa sentire di poter raccogliere il vero significato delle cose, ci fa capire che forse, anche qui in mezzo al nulla, non siamo poi così soli.

La FOMO non sfiora nessuno di noi, non c’è nessun Kappa FuturFestival, nessun LOST che possano rimpiazzare questo momento di verità.
Mi perdo il live di Lillilillililli, ne seguo solo una parte, me ne pento, recupererò. Rimango colpita dal suo essere crudo, naturalmente sincero nella voce, nelle sonorità: è un’identità artistica completa e curiosa da scoprire, a metà tra musica, videoarte, fotografia. Mi trascinano via perché c’è una prima crisi nella nostra utopica comunità di contadini musicisti: sta finendo la birra.
Arrivano i Taistoi, distensivi, romantici, sognanti. Shoegaze per chi ama ballare un lento con la più strana della scuola. Qualcuno si sgola sulle note di Mauer Bauer, qualcuno abbraccia la persona accanto a sé, ondeggia, fuma, altri si passano la palla. Nessuno se la prende, se torniamo un po’ bambini in questa rilassatezza, la batteria picchia così forte che ogni tanto me la sento in gola, ogni tanto fa glitchare la fila di lucine sopra il palco.
Con l’ultimo Peroncino e un ghiacciolo al limone, aspetto che i Cigarilla Disonasty facciano il loro lavoro di performer (ottimo acquisto, Auroro Borealo!). Musica per robot, musica per adolescenti troppo alti, troppo grandi, è il finale che aspettavamo. Siamo in ritardo, Franek dalle retrovie sembra costringersi a ricordarci che il tempo esiste. Non ci interessa granché, sforiamo, qualcuno invade il palco, si butta sopra il cantante che, inaspettatamente, continua. La sua voce emerge distorta dal mucchio di persone sopra di lui (a proposito dello stare vicini, anche troppo).
Siamo riconciliati. Giochiamo ancora un po’ a biliardino, a Ping pong su due tavoli di lunghezze diverse, cantiamo Battisti, Carella, mentre aspettiamo che quell’elettricità che ci portiamo addosso se ne vada via, che finisca tutto l’alcol e che si torni tutti alle nostre tende.
Eventi come questo sono preziosi, nel loro piccolo. Le realtà di cui si circondano mostrano uno sforzo creativo, una ricerca che non sono comuni ma che sembrano, lentamente, iniziare a creare una nuova scena, genuina e fertile. Persone, collettivi, etichette, gruppi, artisti multidisciplinari: situazioni come quelle create da Non Mi Piace, da Dischi Sotterranei, Circa Diana o Tafuzzy Records iniziano a plasmare l’idea di una scena musicale laterale, disordinata, vera.

Partecipare a eventi come questo, uscire dal tracciato della musica, delle attività e dei festival mainstream, ha indotto in me (e negli altri partecipanti) un’importante riflessione sul ruolo della musica. Tornare ad aggregarsi, stare insieme, godersi la musica, nutrire la provincia e la musica da cameretta. Spero di tornare a Mani Tese, spero che Non mi piace porti avanti ancora il suo progetto, il suo modo di fare pragmatico, vivo, allegro.
Spero di andare ad altri mille concerti di sconosciuti e innamorarmi di loro.