Le fotografie ci salveranno dall’estinzione: la mostra fotografica di Guido Rossa
A Palazzo Ducale a Genova sono state esposte dal 14 gennaio al 20 febbraio le fotografie del sindacalista Guido Rossa. La storia narrata, attraverso un racconto per immagini, è quella di un uomo capace di sfidare la montagna e lo spazio geografico tracciando confini che nell’arte assumono linee di demarcazione ben definite.
Guido Rossa entra in fabbrica a quindici anni, è il 1949, lui piemontese di origini, si trova ben presto a lavorare all’Italsider di Cornigliano in cui Eugenio Carmi è il responsabile della direzione artistica e della comunicazione. Questo è l’ambiente in cui Rossa può sperimentare tutta la su energia e potenza creativa, trasformando l’esperienza fotografica in una occupazione mentale e manuale a tutto tondo. Nel 1963 parte per il Nepal e fin da subito si misura con i settemila metri del Langtang-Lirung; una delle montagne più alte al mondo che acquista agli occhi dell’operaio una dimensione privata di totale riflessione sul senso di libertà. I protagonisti delle sue fotografie sono bambini tibetani desiderosi di studiare, mendicanti, incantatori di serpenti, ma sono anche donne dallo sguardo penetrate incontrate lungo il cammino della vita. In un’epoca in bilico tra Papa Giovanni e John Kennedy, Genova è sospesa tra la ribellione alla curia e le storie cantate da Fabrizio De André nella sua discografia. Il corpo di Guido Rossa verrà rinvenuto il 24 gennaio del 1979; sono gli anni di piombo, da un alto le forze della sinistra legate al PCI avevano subito contestazioni da parte del Movimento del ’77 mentre l’attività delle Brigate Rosse proseguiva intensificandosi e culminando con il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. Il segretario del partito, Enrico Berlinguer e il sindacato avevano preso le distanze dalla lotta politica extraparlamentare invitando gli iscritti a vigilare contro il terrorismo e denunciando episodi di insurrezione nelle fabbriche. Guido Rossa interpretò questa indicazione alla lettera e denunciò così l’operaio di ItalsiderFrancesco Berardi di essere promotore di una strategia brigatista. Quel lontano gennaio del 1979 alle ore 6:35 Guido Rossa, fu freddato dal commando composto da Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi nella zona di Oregina.
Ai suoi funerali parteciparono 250.000 persone e presenziò il Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
In mostra a Genova però viene raccontato un altro Guido Rossa, la narrazione infatti non si sofferma solo sul lavoro di reportage estero, ma anche di conoscenza della città. Le foto dei vicoli, di Voltri e i volti di coloro che popolano questi luoghi. Sono immagini crude, in movimento che lasciano, oltre il velo della trasparenza il significato di appartenenza ad un mondo, o più precisamente a luoghi dimenticati da una tipica rappresentazione della città di Genova.
La mostra è intervallata da numerose riflessioni di teorici e studiosi di fotografia, a colpire è la presentazione iniziale di Roberto Valtorta: «I soggetti di questo percorso fotografico possono riuscire sorprendenti. In realtà, sono i frutti maturi di un incontestabile attivismo esistenziale, della ricerca di un confronto per gli occhi, e di un’etica della disciplina. La fotografia può essere arte senza smettere di essere tecnica: è un’attività intellettuale e manuale del tutto consona a uomini come Guido Rossa che guardavano al lavoro come a una misura di sé stessi.»
I documenti iconografici rappresentano una delle forme artistiche predilette in un’epoca di estremi mutamenti come il nostro tempo. L’immagine è capace di racchiudere in sé molteplici significati che hanno il ruolo e l’esigenza di lasciare un messaggio, un segnale, una scintilla di esistenza. A riecheggiare nel cuore del visitatore sono quelle parole incancellabili su sfondo bianco che Guido Rossa elaborò durante uno dei suoi viaggi: «La realtà delle cose si identifica forse mai con il desiderio? E questo avrà poi un limite?»
Proviamo a rispondere, anni dopo, pensiamo di no, che non possa esistere un limite al desiderio e ciò implica inevitabilmente una condanna, non solo per il singolo uomo, ma per la collettività intera, ed è qui, in questo strappo tra aspirazione e realtà che si inseriscono le fotografie di Guido Rossa, capaci di arrivare anche a distanza di anni e di lasciare un solco nella società.