STRESS POST-PANDEMICO
Tante volte ce l’hanno ripetuto, quasi sottovoce per paura di entrare in conflitto con il nostro io interiore. Ce lo siamo sussurrati pure noi stessi sotto la doccia, quando in alcuni momenti ci sentivamo persi. È il sentimento post-pandemico che invade ognuno di noi, che ci attanaglia nel profondo e ci fa dimenticare che oltre alle mascherine abbiamo un viso, una bocca e delle espressioni. L’incapacità di comunicare attraverso la nostra mimica facciale è stata sostituita in questi quasi tre anni dalla potenza degli occhi. Si muovono frenetici, alla disperata ricerca di qualche segnale di comprensione.
Ma cosa manca realmente nelle vite dei giovani, degli adulti, dei bambini e degli anziani?
Secondo lo studio intitolato Coronavirus Pandemia, Global Economic Crisis, Stress and Health di Hayk H. Karapetyan, Sona L. Karavardanyan e Hayk S. Arakelyan, lo stress sarebbe la risposta che il corpo adotta alle continue domande delle società. Sarebbe dunque uno stato psicofisico ed emozionale che può nascere da un senso di frustrazione, rabbia e nervosismo. Esistono tuttavia diversi livelli che identificano il grado di intensità: si passa da una fase acuta ad una situazione di cronicità dove lo stress risulta essere prolungato per un lungo periodo e può condurre anche ad autolesionismo e suicidio.
In Italia il Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale dell’ISS è stato attivo, fin dai primi esordi della malattia, per monitorare l’impatto che il Covid-19 ha avuto nelle vite delle persone. Sulla base delle loro ricerche condotte con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, i partecipanti del sondaggio ovvero 20.720 persone hanno evidenziato che durante il lockdown i loro livelli di ansia, depressione e sintomi legati allo stress sono aumentati, specialmente per quanto riguarda le donne. La mancanza di socialità e di contatti, se non mediati attraverso uno schermo, hanno creato, in maniera progressiva nella vita delle persone una mancanza di connessione con la realtà. Il mondo filtrato attraverso una dimensione piatta e interattiva, per quanto legame costante di contatti, non ha fatto altro che accentuare un forte senso di impotenza nella vita delle persone allontanandole dunque da quello che tutti chiedono: l’incontro.
È tuttavia difficile tornare ad una ipotetica normalità, abbiamo assistito durante i mesi estivi, ad un progressivo abbattimento della curva dei contagi e all’illusione della parola “fine”.
La Pandemia però persiste e a pagarne le spese più alte sono tutte le persone che in questi anni hanno alimentato internamente situazioni di disagio o stress. Le cure tuttavia ci sono, per quanto in materia di salute mentale il nostro paese non brilli certo di iniziativa, molti psicologi e psicoterapeuti hanno aderito a compagne per destinare ad alcuni pazienti “buoni psicologici”. Si tratta certamente di un buon primo passo che se lo stato, con la sua giurisdizione non riesce a riconoscere, è tuttavia tutelato da chi è nel settore da tempo. Lo stesso Centro di Scienze Comportamentali sopraindicato ha lanciato un progetto chiamato The COVID-19 HEalth caRe wOrkErS (HEROES) study a cui hanno aderito ben 40 paesi in tutto il mondo che ha lo scopo di porre in risalto le difficoltà e i problemi incontrati durante la pandemia e in particolare da coloro che hanno posto la loro scienza, competenza e ruolo al servizio dei malati. Stiamo parlando degli operatori sanitari del settore che in questi anni hanno rinunciato a momenti fondamentali delle loro vite per curare e risolvere questa situazione pandemica. È inutile negare che questo lasso di tempo ha aperto ferite che non pensavamo di avere, ha rimarginato tagli profondi dell’anima acutizzando invece dolori che sono riemersi solo con la mancanza di socialità.
Più volte durante questi anni ci siamo ripetuti che la situazione sarebbe migliorata, che ci avrebbe cambiati tutti in positivo e invece ora a tre anni di distanza il Covid-19 ci pone di fronte ad una delle domande esistenziali più difficili a cui dare una risposta concreta: “cosa succederà un domani?” Quando la convivenza con il virus sarà diventata ormai quotidiana e le mascherine scompariranno e non verremo più tracciati, saranno ancora gli occhi a parlare o torneremo alle espressioni? Quel che ci è mancato è sicuramente il contatto con la realtà, il rumore, il traffico, la folla i profumi e quando tutti questi aspetti, che sembrano così infinti, torneranno a comporre le nostre vite saremo davvero pronti ad accoglierli con gli occhi di un tempo?