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NEL 2021 CON I TAMANGO: “COME FOSSERO CAREZZE”

Unisci un collettivo torinese, tanto groove, atmosfere r&b-elettroniche-jazz-cantautorali, un’estetica vintage tutta italiana e una sana dose di incoscienza. Ottieni i TAMANGO, un progetto freschissimo, che ti farà venire voglia di un amore – non corrisposto, così avrai un buon motivo per struggerti sui loro brani.

In giro sul web è difficile non aver sentito parlare del loro live al Mad Dog di Torino, Arrembaggio al cane pazzo, una true jam fattabbene, andata virale su instagram a livello internazionale.

Tra visi puliti e sincerità, la rivincita dei bravi ragazzi comincia nel 2020, con i singoli Malmesso, Quellocale e Piedi Nudi. Nel 2021 pubblicano Come fossero carezze, loro EP d’esordio: la rincorsa adolescenziale, disperata, tenera e testarda, di una fugace passione estiva. L’idealizzazione di un amore. “Tu mi hai insegnato il disincanto, io la disillusione”.

PUEBLO
La traccia d’apertura. Spensierata, strizza l’occhio alla malinconia in lontananza. Pueblo alterna una linea di basso funk scivoloso a influenze sperimentali ed archi romanticissimi.
Mi piace pensare che i contrasti siano i colori primari del progetto: scandiscono ogni brano, accompagnandoci alle sue solitudini e alle sue trasformazioni.
È luglio. La calma della calura estiva viene interrotta da un colpo di fulmine, un amore adocchiato, corteggiato, idealizzato. Il mistero dell’incognito è irresistibile, come quando ci si innamora in metropolitana. E allora si scruta l’altro alla ricerca di un dettaglio che ricomponga l’insieme. Il fascino dell’inconsapevole, l’incanto della voglia di scoperta. Ma è tutto un sogno, lei non alzerà mai lo sguardo, e resterà lontana due tavoli da quello che forse, in un’altra storia, poteva essere un turbinio meraviglioso e distruttivo. “Forse è stato un tuffo di follia / Ma per fortuna tu non hai alzato lo sguardo”.

Il CIELO SOPRA BERLINO
La focus track. Segna un climax importante all’interno dell’EP. Si tratta della traccia trend, la più popular a livello strutturale ed estetico: ha un’aria retrò tutta italiana, di chi con umiltà si fa spazio tra gli sguardi snob di un bar. Il Cielo sopra Berlino offre rompicapi e soluzioni: le influenze elettroniche incontrano un’anima folk, e creano – ancora una volta – un dualismo armonico tra vintage e moderno. Il testo, come un vecchio amico t’abbraccia, ti ricorda che nel bene e nel male non devi prenderti troppo sul serio. Il brano si chiude con lo stesso monito: “Ci sarà sempre in fondo chi sta peggio”. Racconta di un equilibrismo tra consapevolezza ed eccesso, la voglia di toccare il fondo per poi risalire, di spingersi oltre il proprio limite, farsi del male, riderci sopra, piangersi addosso, alzare la voce, arrendersi all’istinto o dar conto alla ragione. Siamo ad agosto, e ti impersoni poèt maudit.

PLATANI
Pensati al crepuscolo, distes* sulla sabbia caldo-fredda, all’ultimo sole della giornata. L’umidità della sera ti fa le avances, tu ti concedi, la ascolti. Hai le spalle scottate dal sole, il cellulare chissà dove. Pensi solo al da farsi. Sono i primi di settembre.
Platani è una ballad nostalgica e dolcissima. Tratta vicissitudini quotidiane, ricordi passati e piani futuri, quasi fossero parte di una storia narrata direttamente all’ascoltatore. Il peso delle aspettative si fonde ai rimpianti del non-fatto, del non-detto. Platani è una traccia fredda, ti passa accanto senza guardarti in faccia e ti manda a letto senza cena.

LUCCIOLA
Lucciola è il cuore blues del progetto. È amour fou da cabaret, caparbietà, sesso, pelle nuda. Sguardi che si inseguono e che comunicano senza parlare. Storie di passione e amanti dannati. Non a caso, uno dei brani più amati dell’EP. Il fascino da poeta maledetto attrae e illude, e resti con polvere in mano. Resisti ancora, per un’ultima, sfrenata, disinibita danza.
Il poeta S. Penna diceva “Forse la giovinezza è solo questo: amare i sensi e non pentirsi”. E tu decidi di prenderlo alla lettera, abbandonat* ad un edonismo superficiale e carnale. Lucciola è una sfrenata voglia di riscatto.

MALADIE D’AMOUR
L’estate è finita. Siamo a metà settembre. Tocca fare i conti con le conseguenze di chi si è deciso di essere. Maladie d’amour è una presa di coscienza e di posizione. È l’outro dell’EP, l’amaro epilogo della storia d’amore cominciata in Pueblo, coronata di incomprensioni e ultimatum. Il sarcasmo sprezzante con cui si affronta disabitua rispetto alla realtà costruita fino a quel momento, che ormai appare fittizia. “Sembra un film di Woody Allen”, ti prende in contropiede. C’è il ritorno in città, Torino, alla quale si è ormai mal habitué.
Il brano appare come il grido d’aiuto di chi ha capito che deve farcela da solo perché si è fatto terra bruciata intorno. D’altronde, chi semina vento raccoglie tempesta.

Mi godo la città, lo smog e il mal di gola
E l’amaro habitué
Quel poveretto del mio cane che porta fuori me
Mi restan le mutande che non cambio
Le unghie che non taglio
La barba che non faccio
La barba che non ho
Non riesco a liberarmi di te
E forse non mi va
Non riesco a non pensarti
Non riesco a masturbarmi
Come si piange bene sui tram.

Articolo a cura di: @mmaxwu