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EFFETTI EP.1 | 10 DIPINTI PER 10 ARTISTI

EFFETTI è una guida che unisce il mondo dell’arte a quello della musica, non c’è molto da dire, riprende esattamente il concetto base di SIAMO, l’unire diverse realtà con l’obbiettivo di rendere unico ciò che è già bello.
Beh… Godetevi questo nuovo format tutto fatto in casa dalla nostra Maria Paola Monti!

GIN & KAHLÚA di epoimai
》Bal du moulin de la Galette
di Pierre-Auguste Renoir

Nella sua seconda release, epoimai non abbandona il beat deliziosamente estivo che già si
percepiva tra le note dell’omonimo singolo di debutto, rilasciato a giugno.
Gin & Kahlúa, tuttavia, brinda alla fine dell’estate: racchiude in sé un’immagine pregna di
musica e festa, ma anche del tocco di nostalgia che accompagna l’arrivo di settembre.
Per questo, le associo un dipinto dalle pennellate estremamente classiche, Bal du moulin
de la Galette, un elogio alla festa di strada che Renoir vede srotolarsi davanti ai suoi occhi,
in un soleggiato pomeriggio parigino.
Si festeggia ballando e brindando – forse non con gin e kahlua – mentre l’impressionista
francese sta in disparte, intento a cogliere un’istantanea del momento, proprio come fa
epoimai, tra una pennellata fluida e un beat colorato, sotto la luce tremolante, screziata dal
sole di fine estate.

dolce di dolcedormire
》Kaleidoscope Cats III
di Louis Wain
Può darsi che sia l’aesthetic di dolcedormire ad influenzarmi, o forse è il beat ritmato di
questo singolo, ma l’atmosfera delicata di pura leggerezza che mi trasmette dolce, non può
fare a meno di rimandarmi direttamente all’arte di Louis Wain, in particolare a
Kaleidoscope Cats III.
Il gatto protagonista dell’opera vibra di colore, è il fulcro soffice di un’esplosione di luci, un
gioco psichedelico in cui Wain eccelle; allo stesso modo, dolcedormire crea una dimensione
frenetica, anzi, molteplici dimensioni in cui il susseguirsi di azioni è dettato dal ritmo pulsante
del beat stesso.
Come la linfa creativa di Wain era l’agape, che ritrovava nel ricordo della sua famiglia, anche
dolcedormire ricorda con affetto i racconti del nonno e ne incanala lo stupore puerile e lo
stile fiabesco nelle sue note, colorando la sua musica con sfumature di un’infanzia vicina al
cuore, ma lontana nel tempo.

Situazioni Distinte di Pseudospettri, Kuzu, GIUMO
》Nuvole
di John Constable
Situazioni Distinte va ascoltata sdraiati nell’erba alta di montagna, da soli, a contemplare le
nuvole che assumono diverse forme quando modellate dal vento.
Questa è l’immagine mentale che Pseudospettri e Kuzu, insieme a Giumo, ci
suggeriscono con la lunga intro del violino di Felix Canvi: un suono morbido che ci culla in
un momento di overwhelm, mentre ci sentiamo schiacciati dal peso delle mille cicatrici che
portiamo sulla pelle e delle mille emozioni rinchiuse nel nostro petto.
Tante situazioni distinte, come le quasi cinquanta tele di Nuvole che John Constable
dipinge nel corso della sua vita; l’intento dell’artista è quello di catturare ogni singolo
cambiamento nella mappa del cielo che ci sovrasta, seguendone il variare con il tempo e
con la stagione.
Ma alla fine, le nuvole rimangono sfumature di sé stesse, esattamente come noi veniamo
plasmati da un vento che ci strattona un po’, ma rimaniamo sempre composti dalla stessa
sostanza.

Dobbiamo solo capire come orientarci nella nuova mappa di increspature che si creano con
il cambiare del meteo e ritrovare eventualmente la nostra calma.

Impero delle luci di Tripolare
》L’Empire des lumières
di René Magritte
Impero delle luci è uno di quei brani che ho dovuto ascoltare più volte per capirli – tipo, una
cinquantina di volte; Tripolare deve amare il correlativo oggettivo di Montale, perché l’intero
testo è un rincorrersi di metafore che si spiegano a vicenda, e probabilmente servirebbe una
parafrasi a parte per capirle veramente fino in fondo.
Tre righe di lodi dovute, perché in questo brano la voce di Tripolare ci guida per mano
attraverso il suo personale mondo surreale, rischiarato dalle sporadiche luci che fanno da
protagoniste.
È la Bellezza in persona ad aprire le danze – Bellezza che in realtà è luce stessa, in quanto
solo la luce può dissipare la nebbia che attraversiamo nei primi versi del testo; quella
riportata, si tratta di una realtà in perenne penombra, simile all’atmosfera di una mattina
appena sorta, ma che dobbiamo vivere con gli occhi semichiusi di chi si regge in piedi a
malapena dal sonno.
Siamo in un fazzoletto di vita surreale, nella cui ombra si nascondono figure dai contorni
sfocati che ora sembrano draghi e ora banali oggetti, ma possiamo contare sulle piccole luci
che ci circondano per ritrovare il letterale lume della ragione.
La luna piena, le stelle, le lucciole e i tuoi occhi di notte, canta Tripolare, e vi si aggrappa, a
questi elementi, vicini al cuore e in grado di guidare fuori dall’ombra.
Sono luci timide, che non abbagliano se in mezzo alle persone, ma che nel buio viscerale
che attanaglia l’anima, sono archetipi imprescindibili.
L’Empire des lumières di René Magritte, esprime gli stessi concetti di salvezza e catarsi
donate dalla luce in una serie di opere surrealiste; queste raffigurano una strada di paese
durante la notte, con solo i lampioni accesi a rischiarare la via, ma sotto un peculiare cielo
diurno, che ci fa pensare che, forse, la notte siamo solamente noi a percepirla.

FVVVCK di Cherry Ills
》Untitled – The Soldier
di Zdzisław Beksiński
FVVVCK è cruda e diretta, e Cherry Ills si premura fin da subito di farci sapere che si tratta
di un pezzo dettato dall’odio radicale che prova nei confronti di tutto, tabula rasa.
Oltre ad essere cruda, è anche esplicita nei dettagli macabri: la descrizione dettagliata fino
alla fibra dei muscoli e al foro del proiettile mi ha regalato flashback di Cannibal Corpse che
non ho la sicurezza di voler rivivere – blergh.
Probabilmente la prima reazione di chiunque nel leggere i lyrics è di farli cadere senza
troppa cura nella categoria dei testi semplicemente “not that deep”, ma sarebbe erroneo: se
si strizzano gli occhi a sufficienza, compaiono i contorni di un disprezzo di sé che l’artista sa
essere alla base di un odio così totalizzante, e lo possiamo notare fin da subito, nel secondo
verso, quando la voce riconosce di darsi valore solamente se sotto l’effetto.
A questo pezzo regalo il mio artista preferito, Zdzisław Beksiński, surrealista distopico
famoso per i suoi dipinti lugubri, a tratti macabri, e nello specifico penso che il più adeguato
sia Untitled – The Soldier.
Infatti, in quest’opera Beksiński raffigura un soldato anonimo, senza volto, per permetterci di
identificarci nel bisogno di violenza che stereotipizza la divisa.

Ricordati Il Mio Nome di ISIDE
》Viandante sul mare di nebbia
di Caspar David Friedrich
In questo brevissimo brano, ISIDE vuole ammonire, vuole dare voce alla dimensione più
recondita del suo inconscio, in cui si annidano le paure radicate da anni.
ISIDE infatti, mette a nudo un’anima profonda e tormentata, oltre che assolutamente
incompresa e fin troppo autocosciente dei propri difetti.
Nonostante la sofferenza che nasce nel passato e si protrae fino al sentirsi come “un fiore
reciso” tutt’oggi, con Ricordati Il Mio Nome viene lanciato un messaggio: quello di
procedere a testa alta e iniziare a farsi valere, difendendo il proprio orgoglio, calpestato fino
ad ora.
Se da un lato si tende a nascondere le ferite profonde per non attirare l’occhio estraneo,
dall’altro c’è una promessa di non rimanere succubi, di iniziare a ribattere.
Il sentirsi incompresi e la voglia di scappare da un mondo che non ci capisce sono due
sensazioni vecchie come il mondo e, se questo non ci porta conforto, quantomeno ci fa
sentire paradossalmente meno soli nella nostra solitudine esistenziale.
Proprio per questo, associo al brano un dipinto estemporaneo, Viandante sul mare di
nebbia di Caspar David Friedrich: è il ritratto di un uomo perso nella contemplazione delle
profondità naturali che gli si stagliano di fronte, probabilmente colpito da un senso di
piccolezza davanti al sublime paesaggio, ma che al tempo stesso mantiene una postura
fiera e impavida, un rispetto di sè che ISIDE ci promette diventerà la regola d’ora in avanti.

sto bene, a volte di Anzj
》Gli amanti
di René Magritte
Ho trovato sto bene, a volte come piacevolmente struggente, una di quelle opere che
strofina sale nelle ferite, ma al punto giusto, senza malizia nel farlo, bensì con il mero intento
di esternare questa sofferenza schiacciante senza infastidire nessuno, come fosse con un
gemito ovattato dietro denti stretti.
Il tutto si lega ad una base volutamente lenta, dal ritmo pacato, e ad una maestria particolare
nel sapere quando planare, con la voce, in un sussurro che ci fa venire la pelle d’oca.
Questo amore viscerale è difficile da mettere in parole, si rischia di non far capire a chi ci
importa quanto il nostro amore sia assoluto, sarebbe più semplice mettere nelle loro mani il
nostro cuore pulsante, ed è di gran lunga più semplice esprimere il senso di vuoto che
proviamo quando queste persone sono lontane, perché è il dolore pungente ad accomunarci
per gli uomini soffici nel mezzo che siamo.
Quello di Anzj è un amore che spaventa nella sua intensità, fa venire le ginocchia deboli nel
pensarci completamente allo scoperto, fragili davanti a qualcuno che abbiamo scelto come
possessore delle chiavi della nostra anima.
È terrorizzante immaginarci completamente alla sua mercé, impotenti davanti ad una mano
che potrebbe essere schiaffo o carezza, sapendo che accetteremo entrambi con un sorriso
sulle labbra, perché è la sua mano, ed è tutto quello che importa.
A questo brano associo Gli amanti di René Magritte, un’opera coronata da un amore
altrettanto straziante: la donna raffigurata è la madre dell’artista, suicida e affogata nella
Senna, il cui corpo venne recuperato dal fiume con il capo ancora avvolto in una camicia
bianca.

Tale dettaglio viene riportato da Magritte, che copre anche il volto del padre nell’opera in cui
gli dona un ultimo bacio con la donna, rendendoli eterni nel loro amore imprigionato su tela.

GIALLO PER VAN GOGH di CELESTIALE
》Girasoli
di Vincent Van Gogh
In una mini-intervista, CELESTIALE ci parla del testo del suo singolo di debutto, GIALLO
PER VAN GOGH descrivendocelo come l’incarnazione dell’ossessione, in parole sue:
“intossicazione amorosa”.
Sono parole pesate, infatti CELESTIALE ci rivela che l’ispirazione proviene dalla mania di
Van Gogh di ingerire la tempera gialla con cui dipingeva, causandosi intossicazioni ben più
fisiche di quella che attanaglia il cuore.
Tuttavia, l’effetto rimane quello di una dipendenza assoluta e paralizzante, che inquina ogni
pensiero e avvelena la mente tanto quanto il corpo: «ho usato questa metafora a livello
emotivo: è il non riuscire a fare a meno di una persona, il ‘nutrirsi’ di essa, nonostante,
consapevolmente o meno, ci faccia del male.».
Quello di sapere dov’è, come sta, con chi è, diventa una necessità pari al respirare, un
bisogno compulsivo e convulso da cui bisogna distaccarsi prima che sfoci in mania.
Sull’onda di questa ossessione martellante, porto come paragone artistico la collezione di
Girasoli di Vincent Van Gogh, che realizzò undici dipinti dei ben noti fiori gialli.
È interessante osservare come, nella serie di Arles dei Girasoli, vi sia un progressivo
espandersi del colore giallo anche alle pareti e al tavolo, a riprova di quanto un’ossessione
possa diventare infestante.

Indaco di Matilde
》Alcuni Cerchi
di Wassily Kandinsky
Trovo che Indaco sia perfetta per questo progetto, perché rende semplice comprendere il
collegamento estemporaneo tra le arti della musica e della pittura.
Matilde, infatti, esprime la sua condizione emotiva avvalendosi dei colori, dicendo di essere
un animo indaco che va scaldato, come accadeva un tempo, quando ancora conservava un
lato fucsia.
Si domanda come riusciva a cambiare colore e se potrà ancora farlo con le forze che gli
rimangono; è un tentativo per non lasciarsi inghiottire totalmente dall’apatia e dalla piattezza
dell’indaco.
In Alcuni Cerchi, opera che apparentemente sembra priva di significato profondo, Wassily
Kandinsky pone al centro della tela un largo cerchio indaco, parzialmente oscurato da un
cerchio nero che vuole ricordare un’eclissi.
Gli altri colori gravitano intorno al fulcro principale; sono a portata di mano, ma al contempo
rimangono personaggi secondari atti ad esaltare il momento in cui senti di avere un “animo
indaco”, infierendo.
C’è anche da ricordare, però, che Kandinsky fu elogiato per essere stato in grado di
mescolare i colori in quest’opera, riuscendo a far sembrare i cerchi come vetri colorati
trasparenti che si sovrappongono creando nuove sfumature.
Quindi, magari, dobbiamo prendere questo elogio come una massima morale più che come
una semplice critica artistica: dobbiamo bilanciare l’indaco e il fucsia, trovando un’armonia
kandinskiana anche dentro noi stessi e creando nuove sfumature.

okokok di okgiorgio
》Ritratto di Lunia Czechowska
di Amedeo Modigliani
A livello di lyrics, okokok di okgiorgio è piuttosto semplice: “vedo scintille negli occhi tuoi,
se ti manco” è il verso in refrain, che mira a riportare una realizzazione sconvolgente, un
frammento di realtà che toglie il fiato, più che un agglomerato di episodi che finiscono per
oscurarsi l’un l’altro, come accade spesso nei testi più complessi.
È proprio l’essenzialità del brano a rendere quella frase così rilevante: una volta compresa la
chiave di volta, il pezzo intero muta in un puro rollercoaster emozionale, il cui ritmo è
scandito dalla base, che detta anche la natura della sensazione provata – ora lenta e ora
frenetica, come l’accelerare di un battito.
Ho deciso di associare ad un simbolismo così fine ed ermetico, un artista altrettanto attento
al dettaglio emotivo: Amedeo Modigliani si rifiutava di dipingere le pupille ai suoi ritratti se
non poteva affermare di conoscere l’anima di chi stava raffigurando.
Il vedere qualcosa negli occhi di un altro, che anche okgiorgio riconosce essere un
fenomeno non da poco, assume un retrogusto completamente nuovo se si adotta la filosofia
di Modigliani: è l’artista e solo l’artista che vede qualcosa, non è un “vediamo” collettivo e per
questo non va riportato dall’arte come fosse al pari di un qualunque altro elemento.
L’accezione con cui okgiorgio pone quell’unico verso, sembra lasciare intendere che questa
sensazione negli occhi sia stata colta di nascosto dall’artista, non resa manifesta
esplicitamente neanche da parte del soggetto protagonista del brano.
Di conseguenza, propongo Ritratto di Lunia Czechowska come opera di riferimento: la
donna raffigurata è di tre quarti, una posizione rara nella pittura di Modigliani, ma che lascia
come unica opzione di prospettiva lo scorgere di nascosto delle emozioni che passano negli
occhi della modella, quasi fosse uno scatto rubato che solo okgiorgio può cogliere nel
profondo, perché solo lui può vedere la luce dietro quegli occhi.