LA FILOSOFIA DI DAVILMAN CRYBABY
Oggi analizzerò un argomento diverso, la filosofia di un’anime che mi ha colpito molto per il messaggio che vuole trasmettere, ovvero, Devilman Crybaby.
Prima di cominciare vi devo avvisare di alcune informazioni:
Ci saranno, ovviamente, degli spoiler, quindi non lamentatevi se vi rovino la visione, inoltre, tutto ciò che scrivo è basato sulla mia idea che mi sono fatto su di esso, che sia giusta o sbagliata, e, come ultimo avvertimento, questo articolo è incentrato solamente sulla serie del 2018, che a differenza del manga e della serie omonima degli anni ‘70, è molto più sintetizzata (da quello che ho notato io) e la trama si focalizza anche su personaggi accantonati nella serie originale.
Cominciamo! Chiunque lo abbia visto, ha notato il ruolo centrale che la sessualità e la violenza hanno, molto diverso come approccio, in confronto ad altri cartoni animati giapponesi.
L’importanza che ha il sesso in questa opera ha delineato la “similitudine irreale” con il nostro mondo, simile ma allo stesso tempo diverso, in gran parte di noi abbiamo una visione centralizzata del sesso, che sia per procreare o per semplice piacere fisico, a tal punto da esserne letteralmente dipendenti, ma la ragione principale è la nostra insoddisfazione nel “resto”, usandolo come paraocchi per non vedere quanto è pericolante e precario il tetto e le mura della casupola che abbiamo costruito con tanti sforzi.
D’altronde, non c’è amore senza sesso, ma c’è sesso senza amore, il piacere terreno è l’unica droga “primitiva” rimasta all’essere umano, privargliene non avrebbe una motivazione logica, però, quando l’uomo rinuncierà, inconsciamente, ai suoi istinti?
Spero mai, sennò saremmo fregati, in tutti i sensi, cadremo nell’oblio apatico, come una predizione distopica del XX secolo.
Ritornando a noi, abbiamo menzionato l’episodio in cui il protagonista si fonde col demone Amon, e da lì è un susseguirsi di situazioni e sentimenti contrastanti, personalmente, mi ha trasmesso pietà e odio, simultaneamente ma che non entravano in conflitto, quasi come se si unissero per creare della compassione verso gli umani.
Si sottolinea davvero tanto la parte selvaggia dell’individuo singolo, pronta a riversarsi sul “nemico ignoto”, classico cliché di molte opere di altrettanti generi letterari, cioè, quel qualcosa, che noi non identifichiamo come normale e lo riteniamo immediatamente aggressivo verso i nostri confronti, per motivi validi o per i più stupidi, l’esempio più eclatante è il razzismo: Inconsciamente si ha paura del diverso, come meccanismo di difesa, peccato, che noi lo abbiamo straordinariamente amplificato, e, con la persuasione di massa (elemento assai importante per la trama) si creano quegli individui spericolati in preda all’isteria di massa, nell’anime, le parti finali sono l’incarnazione di esso, tra soldati che sparano a civili e impalamenti di innocenti (RIP Miki), ma volete prove tangibili?
Ecco a voi, i raduni di no-vax o no-greenpass, che si radunano in piazze come sette per consacrare la loro Bibbia, quello è un esempio pratico.
Akira si distinse dagli umani proprio per questo motivo, ha abbandonato la paura, perché lui stesso è la paura, accorgendosi che ora è lui il nemico, per il terrore che egli provoca, tenta di mettere le carte in tavola, distinguendo il vero cattivo e il vero buono, fallendo miseramente, lasciandosi sedurre dalla sua ira per la crudeltà dei suoi stessi simili, o meglio, ex-simili.