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BORN THIS WAY EP. 6

Sono gay e sono fiero.

Fiero di essere considerato diverso. Non mi son mai sentito così orgoglioso di ciò che sono.
Cammino. Mi pestano i piedi. Sudo. Sono stanco. Ma gli inconvenienti appaiono a me come delle piccolezze. Cosa mi potrebbe mai interessare un po’ di stanchezza quando sono circondato da mezzo milione di persone che manifestano per i propri diritti. Mi sento a casa, sto bene. Mi guardo intorno e vedo persone dalle mille particolarità: drag queen, ragazzi in gonna e ragazze che tengono per la mano altre ragazze. Mi accorgo che il pride non è solo per giovani queer come me. I miei occhi cadono su una famiglia. È una famiglia “tradizionale”, ma nonostante questo chiedono libertà insieme alla loro bimba, che indossa una gonna di tulle color arcobaleno.


Questo non è un mese qualunque, è giugno, il Pride Month. Il momento in cui gay, lesbiche, bisessuali, transgender (e non solo), sono tutti accumunati da un elemento: il sorriso. Perché essere fieri e liberi è l’ingrediente segreto per raggiungere la felicità.
Tutti questi pensieri però vengono offuscati. Una domanda mi tormenta. Da dove è nato tutto ciò? Grazie a chi posso permettermi di fare quel che sto facendo?


28 giugno 1969. Ore 1.20.
Otto ufficiali della polizia irruppero nel Stonewall Inn, un gay bar a New York. Gran parte delle persone coinvolte riuscirono a sfuggire all’arresto, ma non tutte. Infatti i poliziotti, tra cui solo uno in uniforme, arrestarono coloro i quali privi di documenti di identità, quelli vestiti con abiti del sesso opposto, e tutti i dipendenti del locale. In quegli anni era presente un forte dress code a New York, basato sulla netta differenza tra ciò che era da ‘’uomo’’ e ciò che era da ‘’donna’’.
A questo punto Sylvia Rivera, donna transgender, dopo essere stata colpita ripetutamente con un manganello, scagliò una bottiglia di vetro contro un agente. La folla cominció a ribellarsi e presto ebbe la meglio contro la polizia, che si trovò costretta a barricarsi all’interno del locale. Il tutto si trasformò in una vera e propria rivolta. Pietre e bottiglie di vetro vennero lanciate contro gli agenti all’urlo di “Gay Power!”.


Sempre più soggetti vennero coinvolti: una folla di 2mila persone si ritrovò a battagliare contro 400 agenti della polizia. Le squadre antisommossa arrivarono per disperdere la folla, ma non riuscirono nel loro intento e si trovarono di fronte a una fila di drag queen che le prendevano in giro cantando:
“We are the Stonewall girls
We wear our hair in curls
We wear no underwear
We show our pubic hair
We wear our dungarees
Above our nelly knees!”.


La ribellione fu inaspettata per chiunque, ma anche naturale e necessaria. Il tutto durò tre giorni e fu simbolo di una rabbia finalmente affiorata.
Le conseguenze furono molteplici: per la fine di luglio, a New York, si formò, grazie anche a Marsha P. Johnson, il Gay Liberation Front (GLF), un movimento di liberazione gay. Organizzazioni simili vennero presto create in tutto il mondo. L’anno seguente, in commemorazione dei moti di Stonewall, il GLF organizzò una marcia dal Greenwich Village a Central Park. Tra i 5.000 e i 10.000 individui vi presero parte. Da allora, molte celebrazioni del gay pride in tutto il mondo scelgono il mese di giugno per le parate e gli eventi che commemorano, come disse John D’Emilio, “la caduta della forcina che si udì in tutto il mondo”.
È grazie a quella primissima marcia se oggi possiamo permetterci tutti i gay pride tenuti oggi nella maggior parte delle città italiane.
Il cambiamento tra ieri e oggi è evidente, ma ciò che non ha mai smesso di esistere è la forza inarrestabile delle persone queer.


È importante ricordare che negli anni gli obbiettivi dei pride son cambiati parecchio. Il pride non è una carnevalata, è il suo opposto. Infatti, mentre negli anni Sessanta questo tipo di manifestazione serviva per acquistare il diritto di esistere, oggi, anche attraverso vestiti stravaganti, serve per ricordare che siamo stanchi di nasconderci. Perché tutt’oggi è necessario non essere ciò che si è per sopravvivere. Le aggressioni omofobe esistono ancora, e fino a qualche anno fa moltissime persone venivano licenziate perchè gay o trans. Il pride esiste per dare voce a tutte le persone che fino ad oggi voce non ne hanno avuta. Non c’è nulla di frivolo nel tingersi i capelli, indossare una gonna, mettere lo smalto o truccarsi. Non c’è nulla di frivolo nel rischiare di essere ammazzato di botte ogni volta che si esce di casa. Sembra ancora carnevale? La decisione di un manifestante di indossare un abito stravagante non è una disperata ricerca di attenzione ma un chiaro messaggio politico.


L’obbiettivo dei gay pride ai giorni d’oggi è il raggiungimento della libertà di espressione . Noi adesso abbiamo più diritti di 50 anni fa, ma ci manca la possibilità di esercitarli. Perché no, le persone queer non sono libere. Non sono libere di tenere per mano la persona che amano. Non sono libere di scambiarsi affetto con il loro amato. Non sono libere di vestirsi come esse si sentono. Non sono libere di essere ciò che sono nemmeno a casa.
Non sono libere. Sono orgogliose, sì, ma non libere