Penso sia arrivato il momento di parlare di una delle colonne portanti della musica torinese, uno dei cantanti che vive e racconta la sua città, le sue esperienze come dovrebbero essere raccontate, in maniera vera e a suo modo poetica. Ovviamente sto parlando di Willie Peyote, vero torinese e torinista, un artista a tutto tondo che col suo rap (che si plasma a seconda della canzone che sta cantando) riesce a tirare fuori tutto ciò che pensa e ciò che vuole davvero dire. Ed è per questo che ho deciso di parlare di uno dei suoi primi album, “Educazione Sabauda”, dell’ormai lontano 2016 e che è pieno di pezzi che hanno fatto la sua storia, da “C’era una vodka” a “Willie pooh”, formando le basi per una carriera che l’ha portato fino a Sanremo. Dunque senza perdere altro tempo direi di vedere questo splendido album.
PEYOTE451 (L’ECCEZIONE)
L’album inizia con un pezzo davvero interessante, che da subito ci mostra chi è Willie Peyote. Infatti la prima traccia, “Peyote451 (L’eccezione)” inizia con un dialogo probabilmente con uno psicologo, al quale quasi ironicamente risponde alle sue 4 domande con “la sincerità”. Poi dopo questa breve introduzione parte il vero e proprio pezzo che con un rap molto duro parla di se stesso, di chi è e di come sia diverso da molti altri rapper, come dice nel ritornello “non per essere il migliore ma l’eccezione”, un’ottima definizione per willie, che riesce sempre a fare delle critiche interessanti e sensate che spesso ti fanno restare a bocca aperta dalla schiettezza con cui spara queste barre.
CHE BELLA GIORNATA
Secondo pezzo è sicuramente uno dei più orecchiabili, capace di farti rimanere in testa il ritornello per giorni, sto parlando di “Che bella giornata”. Questa canzone vuole raccontare una storia di una persona che dopo una delusione amorosa non riesce più a sopportare la vita che prima già sopportava a stento, chiuso in un lavoro che non gli da prospettive e molto ripetitivo. E allora decide di mandare tutto a fanculo, rivoluzionando la sua vita e ricominciando da zero, ignorando tutti quelli che dicono che sia una scelta sbagliata e facendo semplicemente quello che fa stare bene.
C’ERA UNA VODKA
A seguire troviamo “C’era una Vodka”, che sia nel titolo che nell’inizio e nella fine della canzone vuole citare la canzone di Alex Britti “Sola Una Volta”. La canzone parla del rapporto che si può avere con l’alcol, criticandolo in maniera molto ironica, cercando di trovare una giustificazione valida (appositamente insensata) al bere in continuazione. Tutta la canzone ruota a questo concetto, sempre con la stessa chiave ironica, promuovendo una vita sregolata e fregandosene. Il ritmo di questa canzone è quello che ti cattura e ti fa venire la voglia di urlarla insieme a lui, fino a esaurire la voce.
LA SCELTA SBAGLIATA
Subito dopo c’è “La scelta sbagliata”, primo feat dell’album che con questo pezzo inserisce perfettamente la voce di Tormento. La canzone parla di quanto sia necessario a volte fare una scelta sbagliata appunto, qualcosa che serva a distruggere una rigida calma che riesce a farti stare bene ma non più a farti SENTIRE bene. E quindi cerchiamo quell’attimo fuggente capace di rompere la calma, perché per quanto sia da pazzi a volte anche la scelta sbagliata può essere la migliore per se stessi nonostante sia non comunemente accettata. Incredibile è sicuramente il ritornello gestito benissimo da Tormento che rompe totalmente il ritmo delle strofe di Willie, dando quell’attimo di calma e tranquillità nel mezzo della canzone.
INTERLUDIO
Willie con questa canzone, “Interludio”, vuole spezzare l’album, parlandone e di conseguenza parlando di se stesso. Parla del rap, di come sia sbagliato non riconoscere la sua importanza. Ma parla principalmente di se stesso, di come faccia musica divertendosi, ironizzandoci su parlando di come la usa per scopare e per la gloria, criticandolo molto ironicamente, rendendo tutta questa canzone davvero simpatica da ascoltare, lasciandoti tra le risate per certe frasi e lo stupore su come sia riuscito a dire altre cose con una schiettezza tale da far rimanere secco qualcuno.
L’OUTFIT GIUSTO
Successivamente troviamo “L’outfit giusto”, altro feat questa volta con Maya Giglio. Anche questa volta riesce a criticare duramente con il suo rap, in questo caso tocca all’ideologia dell’abito che fa il monaco, di come un’apparenza possa essere anche più importante di cosa sei davvero. E come sempre lo fa con la sua classica ironia tagliente, criticando anche alcune ideologie di moda per la stupidità e l’indecenza di certe cose (primo esempio il risvoltino). Parte davvero interessante è il ritornello, dove la protagonista è Maya Giglio con la sua potenza vocale, ribadendo il messaggio che il Peyote tira fuori durante tutta la canzone: quest’ipocrisia nel pensare che conti solo l’apparenza, perdendo però il valore nella sostanza.
WILLIE POOH
A seguire arriva “Willie Pooh”, ovvia citazione all’orso dei cartoni, famoso per la sua dolcezza. Infatti questa canzone è forse la più delicata dell’album. Una canzone romantica nel vero senso del termine, capace di raccontare l’amore anche e soprattutto nelle ansie che una persona può avere nel viverlo. Questo perché a volte ti sembra troppo, come se non fossi in grado di gestire la grandezza di quell’amore, tanto da ritrovarti perso e spaventato davanti a tutto ciò. Quindi il tuo umore impazzisce: passi dal sentirti felice come non mai e pieno d’amore al ritrovarti pensare di non essere abbastanza, avendo paura di non meritare davvero tutta questa felicità, di non riuscire a ridare indietro abbastanza amore. E poi ti fermi ad ammirare l’altra persona, innamorato come non mai ma incredibilmente spaventato proprio per questo.
ETICHETTE
Successivamente troviamo un’altro pezzo che vuole dare una critica, “Etichette”, facendo capire dal titolo cosa vuole effettivamente criticare con questa canzone. Si parla di come le persone sentano il bisogno di categorizzare tutto, anche le persone, perché così è più facile capirle, o almeno far finta di averle capite. Perché un’etichetta è un qualcosa che anche se fosse vera (e raramente lo è) prende solo una minima parte di una persona, non può per definizione definirla del tutto. Ma in questa canzone non parla solo di questo, ma anche della sua scrittura, di come scrivendo i testi delle canzoni riesce a buttare tutto fuori rendendoli però così di tutti, trasformando quello che doveva essere un’esperienza personale in un racconto al mondo.
GIUDIZIO SOMMARIO
Subito dopo arriva “Giudizio sommario”, che definisce il carattere di Willie Peyote e lo fa perfettamente. Durante la canzone infatti il cantante torinese parla di come siano importanti le sconfitte nella vita, che ti rendono solo più forte, riferendosi anche alla sua fede calcistica (è difatti un gran tifoso del Torino, squadra che perde spesso). Ma non solo, vuole parlare di come lui sia diverso, perché anche avendo provato a essere come tutti non ci riesce, non riesce ad adeguarsi e fare come tutti e non riesce neanche a farsi valere perché si metterebbe in dubbio da solo. Parla anche di come i piemontesi siano figli di un educazione sabauda (da qui il titolo), definendoli poi in fondo grandi lavoratori che non demordono. Interessante anche la voce di Lince, che dopo aver accompagnato Willie nei ritornelli chiude il pezzo rimarcando come si venga etichettati come diversi quando ti dimostri non come tutti gli altri.
IO NON SONO RAZZISTA MA…
A seguire ecco uno dei pezzi più conosciuti dell’album, una mina che critica il razzismo dal titolo “Io non sono razzista ma…”. E qui che Willie Peyote da una delle sue critiche più dirette, colpendo chiunque si sia macchiato anche minimamente di razzismo, perché un ma in queste situazioni conta fin troppo. Basta una strofa però per distruggere alcune delle cose più sentite, criticando una superficialità di massa incredibilmente stupida che non si rende neanche conto di quello che dice, cercando motivazioni insensate per le loro affermazioni da quattro soldi. A catturare è sicuramente il ritmo scattante e che ti fa immediatamente prendere bene di questa canzone, portandoti a volerlo cantare con lui perdendo tutto il fiato cercando di andare alla sua velocità.
VECCHIO HO FATTO UN SOGNO + LA DITTATURA DEI NONFUMATORI
Una situazione molto particolare si trova in queste due tracce: “Vecchio ho fatto un sogno” è alla fine una lunga e separata introduzione alla canzone “La dittatura dei nonfumatori”, che vuole appunto raccontare in musica il sogno descritto precedentemente. In questo sogno ci si trova in un mondo assurdo dove si può fumare soltanto in casa propria in quanto farlo all’esterno è punibile come reato in quanto fastidioso e dannoso per la salute, tralasciando però le leggi sulla cocaina, che viene sdoganata e messa legalmente in commercio. Ma non solo, viene punito anche chi viene sorpreso a mangiare carne in quanto pericoloso per il pianeta oltre che una tragedia per gli animali negli allevamenti intensivi, tanto da venire vietato anche solo comprarla al supermercato. Ovviamente è una grande critica a tutti quei movimenti salutisti che spesso aggradiscono chi fuma o chi mangia carne.
NESSUNO È IL MIO SIGNORE
Avvicinandoci verso la fine troviamo un doppio feat in “Nessuno è il mio signore” con Ensi e Paolito. In questa canzone troviamo un’altra critica assurda, questa volta alla chiesa, enunciando il forte ateismo di Willie, che non capisce e non rispetta le regole e i dogmi della chiesa in quanto spesso superficiali e/o senza senso. Pieno di regole e indottrinamento è una cosa che il cantante proprio non sopporta, proprio come i suoi colleghi, prima Paolito che inoltre critica il dio denaro, ormai unica vera credenza della società e su come lo stato lo permetta tranquillamente, approfittandone. Ma anche Ensi si fa sentire, infatti non fidandosi di una parola senza nessuna prova non riesce a seguire la chiesa che cerca di sponsorizzarsi, preferendo rimanere con domande senza risposta piuttosto che avere un contentino incerto.
TRUMAN SHOW
Penultima canzone dell’album è “Truman show”, chiara citazione al film con Jim Carrey. Il tema centrale della canzone come del film è la ricerca della verità, una cosa quasi impossibile e che forse non si è pronti a sentire, ma si deve sentire per andare davvero avanti e crescere come persona. Ma in questo brano non si parla solo di questo, infatti Willie Peyote parla della difficoltà del riuscire a far emozionare la gente, far capire davvero cosa si vuole comunicare, una cosa spesso difficile. Ma anche sul fatto che la musica non può essere misurata coi soldi, come non si può conoscere un cantante solo dalla musica che fa, perché quello che dice non è tutto quello che è.
E ALLORA CIAO
Ultimo pezzo dell’album è “E allora ciao”, un brano molto profondo in quanto tratta di un tema molto importante: il suicidio. Il cantante infatti ha pensato a questa opzione in un periodo della sua vita, come si può anche notare dalla chiamata col padre a inizio del brano. La canzone inizia con un ringraziamento al padre stesso, andando avanti in una sfiducia nel cambiare la società in quanto per farlo bisognerebbe agire tutti insieme, ma ci sarà sempre qualcuno che non vuole davvero farlo fino in fondo, pochi hanno davvero il coraggio di farsi sentire e agire per cambiare qualcosa. Poi nella seconda strofa affronta meglio il tema del suicidio, il vuoto che sente dentro e delle lettere da lasciare come addio, alla fine poco più dei ringraziamenti alla fine dei dischi. Il pezzo finisce con la ripetizione di “E allora ciao”, come la fine di una chiamata, ma magari anche un’ulteriore citazione a Luigi Tenco, già citato precedentemente nel brano.
A cura di: @fabiospy