Dopo tre anni di un vagare non ben definito, “Anima Macchina” ci fa tornare con un viaggio a tutta velocità verso la SorrowLand: tra sonorità hyperpop e glitchate abbastanza diverse da ciò che avevamo sentito fino ad ora, dopo essersi liberati di carne ed ossa, i Sxrrxwland sono finalmente riusciti a liberare l’anima che, raggiunta una nuova dimensione, arriva a sposare quello che potrebbe essere il suo totale opposto – la macchina.
L’album è composto da 10 tracce che arrivano dritte al punto, in prefetto stile Sxrrxwland; nonostante sia passato un po’ di tempo dal loro ultimo lavoro, il senso di inadeguatezza e rassegnazione non è cambiato, anzi: viviamo in un mondo che va velocissimo, rappresentato in questo album dall’utilizzo di bpm molto alti e un ritmo molto marcato, nel quale viene veramente difficile – se non impossibile – stare al passo con tutto.
Tutti i brani sono collegati da questo fil rouge che si srotola tra di essi: già a partire dal titolo, Anima Macchina, si va a sottolineare il dualismo tra la dimensione-macchina, che per tutto il disco cerca di ritrovare la dimensione-anima, offuscata e quasi persa tra la velocità con cui si è quasi costretti a vivere al giorno d’oggi.
La opening track, “Blessami“, è il perfetto inizio di questo viaggio che trasporta in una sorta di dimensione parallela elettronica, ispirandosi alle soundtrack dei videogiochi, individuando nel destinatario della canzone un moderno ideale di “donna-angelo” che viene invocata per, appunto, proteggere e salvare.
Seguono poi la title track del disco, “Anima Macchina“, e “Kurushi“, nelle quali troviamo una rivisitazione della narrazione dei misfits che avevamo già visto sia in “Buone Maniere per Giovani Predatori” che in “Osso“: nella prima, il senso di inadeguatezza verso il mondo è talmente grande che vendere l’anima sarebbe forse l’unico modo per sopravvivere; nella seconda, ci avviciniamo sempre di più alla trasformazione da anima autodistruttiva a macchina che non può più provare alcun sentimento.
In “Occhi temporale” vediamo invece come l’autoinganno sia l’unica cosa a cui aggrapparsi nel momento in cui ogni speranza è andata persa: “Sono tutte stronzate, però è tutto vero/Come la fede o l’oroscopo”, perché siamo consapevoli che fede e oroscopo siano delle totali invenzioni, ma nel momento della disperazione siamo pronti a credere in qualsiasi cosa, pur di cercare di stare meglio.
La nostalgia e l’incertezza dominano invece in “Felice nemmeno”, traccia nella quale viene espressa la più totale confusione dello stato d’animo che porta alla chiusura in sé stessi, pur di non affrontare non solo gli altri, ma soprattutto il caos che sta dentro di sé.
Sentirsi osservati e vulnerabili di fronte al mondo, come se qualcuno aspettasse il tuo fallimento: questa è “Forbici”, la sesta traccia del disco, forse una delle tracce più ossimoro all’interno di tutto il disco. La base è molto ballabile e soprattutto rimane in testa, mentre le parole sono uno sfogo sull’essere stanchi del sentirsi addosso il peso delle aspettative altrui.
Torna la disillusione unita alla necessità di stare sempre sotto nuovi stimoli, di cercare sempre qualcosa di nuovo – probabilmente per evitare di cadere nei pensieri intrusivi: “Essere Britney“, oltre a fare riferimento alla celebre figura di Britney Spears e alle sue crisi, che sono diventate di dominio pubblico, vuole ridimensionare tutto ad un livello più umano, perché tutti possono stare male indipendentemente da dischi, soldi e autografi.
“Francesca sott’acqua” è l’ottava traccia e, paradossalmente, è un momento di respiro: rallentiamo per un attimo, usciamo dalla dimensione elettronica per ricongiungerci con una natura quasi artificiale. Il vetro permette di vedere al di là, ma allo stesso tempo rende tutto impenetrabile ed è impossibile capire cosa è reale e cosa è un’illusione.
Veniamo poi catapultati in una “Speedrun”, come a voler arrivare il prima possibile verso la fine. Le sostanze contribuiscono ad accelerare questa corsa, che allo stesso tempo sembra lentissima e non finire mai, quando tutto attorno invece continua ad andare avanti sempre più veloce.
Decima e ultima traccia è “Ma tu no“, che suona quasi come una preghiera all’interno della quale si chiede perdono per tutto ciò che si è fatto – o che siamo stati costretti a fare -, ma che vuole essere anche un monito per chi ascolta, ed un ringraziamento per avercela fatta, nonostante tutto.
“Anima Macchina” è un viaggio complesso, che a primo impatto forse non è chiaro. “Anima Macchina” è una dimensione extratemporale e corporale, una scatola nera all’interno della quale non si sa bene cosa succeda, dalla quale vediamo uscire il risultato finale: per quanto la macchina possa cercare di imporsi e di imprigionarla, l’anima riuscirà a rimanere libera e a trovare sempre la sua giusta dimensione.
Articolo a cura di: @annariu_
Grafiche a cura di: @princess7anna